Una corretta diagnosi è assolutamente cruciale, unica e inequivocabile, previa raccolta degli indici parodontali biometrici, per elaborare un piano di trattamento idoneo, in caso di denti naturali e/o impianti.
Con rare eccezioni, che verranno documentate, l’approccio non chirurgico è sempre indicato in presenza di infiammazione placca-indotta e deve precedere una eventuale gestione chirurgica del caso.
“Quando viceversa è indicato scegliere una opzione chirurgica, senza preparazione iniziale?” Si risponderà a questa domanda attraverso casi clinici. Verranno illustrate le seguenti indicazioni: 1) lesioni parodontali in settori ad alto valore estetico, dove non si potrebbero escludere esiti di recessione, in pazienti sensibili a tale rischio, 2) condizioni anatomiche sfavorevoli, 3) presenza di anomalie (solco palatino), 4) motivi protesici.
Inoltre la gestione chirurgica è indicata, a seguito di un'efficace terapia eziologica, in caso di miglioramenti insoddisfacenti, al fine di garantire condizioni cliniche di stabilità.
Importante considerare anche il fatto che alcuni pazienti non sono in grado di accettare l’opzione chirurgica, per giustificati motivi di salute generale oppure in caso di motivazioni psicologiche e/o economiche. A quel punto il dentista ha l’opportunità di verificare le potenzialità di un approccio non chirurgico, soprattutto in pazienti che desiderano o necessariamente devono evitare la chirurgia parodontale.
Sia in caso di malattia parodontale che peri-implantare, un paziente motivato, che dimostri un congruo controllo igienico, può influenzare in modo significativo le proprie condizioni di salute orale, la prognosi del caso, e soprattutto favorire il miglioramento dei parametri clinici, talvolta fino a raggiungere risultati particolarmente soddisfacenti, certamente NON PREDICIBILI, MA POSSIBILI. L’odontoiatra può delegare al personale ausiliario l’insegnamento delle metodiche personalizzate di igiene domiciliare, ma già in 1ª visita, deve assolutamente illustrare al paziente l’importanza di seguire scrupolosamente i suggerimenti dati ad personam, per una efficace rimozione del biofilm, nonché attenersi alla frequenza dei richiami professionali raccomandata.
Soprattutto nei casi parodontalmente più complessi, ritengo sia importante comunicare che: se il paziente esegue una adeguata igiene orale, a seguito di istruzioni dettagliate e personalizzate, e se il clinico effettua una efficace terapia eziologica, si può garantire un miglioramento del caso, senza però escludere l’eventualità di una gestione chirurgica, per raggiungere gli obiettivi terapeutici. Tali concetti di indiscussa validità, meritano comunque di essere rafforzati soprattutto in questo periodo storico. Verranno illustrati alcuni casi clinici con follow-up, per oggettivare come la performance igienica domiciliare del paziente, ne abbia influenzato sia la gestione che l’evoluzione clinica.
Inoltre, verranno presentati casi clinici, con esteso follow-up, documentando una stabilità clinica soddisfacente, post trattamento parodontale non chirurgico, associata anche a rimineralizzazione ossea, certamente non predicibile, ma possibile.
Si descriveranno in dettaglio i protocolli di terapia parodontale non chirurgica, soprattutto per casi parodontalmente molto compromessi, illustrando tecniche di strumentazione, sito specifica, la cui aggressività sarà adeguata alla profondità iniziale di sondaggio e alla quantità di depositi mineralizzati da rimuovere correttamente, senza fare l’errore di brunire il tartaro, compromettendo una guarigione soddisfacente.
Durante il corso la parte pratica inizierà con il descrivere, ma soprattutto provare su modelli il Movimento verticale modificato.
Negli anni ho modificato la mia tecnica di strumentazione soprattutto per quanto riguarda il movimento verticale. Sia in tasche poco oppure molto profonde inserisco sempre lo strumento di punta. Questo significa che eseguo una rotazione dello strumento con la mano non dominante a livello del manico, prima di accedere alla superficie sotto gengivale. Per evitare di traumatizzare il tessuto molle, lo strumento risulta obliquo rispetto all’asse verticale del dente. Secondo la mia tecnica modificata proprio la punta dello strumento deve agganciare, quasi a “arpionare” la porzione più apicale del deposito, con l’obiettivo di staccarlo dalla superficie radicolare.
Con questa tecnica ho conseguito i risultati clinici documentati in diversi articoli pubblicati nella letteratura basata sull’evidenza.
Oltre a ciò questa tecnica permette di eseguire il trattamento parodontale non chirurgico in assenza di anestesia. Il paziente avverte dolore se l’operatore ingaggia il tessuto molle, ma anche una strumentazione aggressiva, confinata nell’ambito del tessuto duro del dente, non arreca disagio al paziente e soprattutto previene lesioni del tessuto mucoso.
Si darà particolare risalto al 1º anno di follow-up, dopo trattamento parodontale non chirurgico. Nel caso di “sigillo biologico soddisfacente”/”pocket closure”, si consiglia una strumentazione delicata nei successivi appuntamenti di richiamo a scadenza trimestrale; viceversa in presenza di un sondaggio parodontale ancora patologico, seppur ridotto rispetto ai valori iniziali, e soprattutto associato a sanguinamento, si raccomanda di ripetere una strumentazione giustificatamente aggressiva, mirata a rimuovere depositi residui, meticolosamente cercati e rilevati con la sonda parodontale (rilevamento del tartaro pre e post strumentazione parodontale non chirurgica). In caso di dentizione naturale si consigliano tempi di rivalutazione di almeno 1 anno o anche oltre. Questi concetti verranno illustrati attraverso casi clinici con follow-up.
Per una terapia implantare di successo, la valutazione della qualità del tessuto osseo è necessaria per ottenere l’osteointegrazione, ma per mantenerla nel tempo, dopo il 1º anno di follow-up, è indispensabile salvaguardare la salute gengivale. Una adeguata quantità e qualità di tessuto mucoso risulta conditio sine qua non per tale obiettivo.
Premesso che gli Impianti dovrebbero sostituire i denti già mancanti e non essere “UNA FREQUENTE” soluzione terapeutica per i denti parodontalmente compromessi, l’approccio chirurgico per il trattamento della peri-implantite deve essere sempre successivo ad una Terapia Eziologica Parodontale Non chirurgica, e solo in caso di risultati insoddisfacenti a seguito di tale trattamento preliminare.
L’approccio non chirurgico si è dimostrato alquanto efficace in caso di mucosite, associando una congrua igiene domiciliare alla strumentazione meccanica. Viceversa, in caso di peri-implantite, con perdita ossea, progressiva ed irreversibile, la fase non chirurgica, rigorosamente sito specifica, è comunque inizialmente sempre raccomandata.
Talvolta, si possono ottenere esiti piuttosto soddisfacenti, anche a lungo termine, assolutamente non predicibili, oppure si può prolungare la sopravvivenza di impianti gravemente compromessi.
Numerose immagini cliniche, disegni didattici e molti video, relativi a casi clinici con follow up, esemplificheranno come ottenere una efficace Decontaminazione/Detossificazione della superficie implantare, con una strumentazione non chirurgica, eventualmente laser assistita, utilizzando materiali innovativi, per un molteplice approccio antimicrobico, illustrando, in particolare, protocolli differenziati: in caso di salute dei tessuti peri-implantari, oppure di Mucositi e/o Peri-implantiti.
Gli strumenti disponibili, disegnati per una superficie radicolare liscia, possono determinare una decontaminazione lacunosa di spire implantari esposte. Di conseguenza può essere indicato utilizzare apparecchiature, strumenti, prodotti, antimicrobici di vario tipo, che ovviamente rimangono strategie aggiuntive e mai da utilizzare come monoterapia, compreso il laser. Con l’obiettivo di proporre una carrellata di attrezzature e materiali diversi, disponibili sul mercato, utilizzati nel corso degli anni su un numero selezionato di pazienti, suggerirò ai colleghi di vagliarne l’eventuale uso nella propria realtà clinica, considerando vantaggi e limiti, nonché soppesando costi e benefici.
L’efficacia clinica delle procedure chirurgiche, dimostrata da valutazioni a lungo termine, anche con rientri clinici, influenza la decisione se rimuovere gli impianti oppure intervenire, cercando di risolvere la complicanza. In aggiunta all’ampiezza e gravità del difetto, altri fattori influiscono sulla scelta dell’approccio terapeutico, quali: la qualità e la quantità del tessuto molle presente, la localizzazione dell’impianto in arcata, ma principalmente la fattibilità di rimuovere o meno il manufatto protesico. I protocolli clinici chirurgici sono i veri protagonisti. È convinzione del relatore che l’adesione ad un protocollo clinico, che prevede una sequenza di tre fasi terapeutiche ben distinte: a) sbrigliamento del difetto peri-implantare, b) decontaminazione e c) detossificazione della superficie implantare sia del tutto inducente il successo della tecnica, indipendentemente dal tipo di approccio chirurgico, di difetto o di sistema implantare.
Nonostante sia spesso possibile trattare parodontite e malattie peri-implantari, la prevenzione rimane comunque la cura migliore.